Il coraggio di rivoluzionare gli ospedali (l’ultimo pensiero del grande chirurgo Umberto Veronesi)!

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I ricordi e le riflessioni di un grande uomo e grande scienziato.

L’ospedale sia un luogo per la gente, dove si celebra il rito laico della condivisione e della tolleranza. Così Renzo Piano disse una volta a proposito di una concezione nuova dei luoghi di ricovero e cura, un’idea che avevamo discusso e elaborato insieme, ai tempi del mio incarico al ministero della Salute.

  • Lo chiamammo l’ospedale modello e, fra i vari parametri stabiliti, uno ancora oggi prevale su tutti: la centralità del paziente. Gli spazi, l’organizzazione del lavoro, la ripartizione delle competenze devono convergere intorno all’assistenza del malato.

Sembrerà un presupposto ovvio, ma così non è. Non lo è stato la notte in cui Marcello Cairoli è morto nel viavai caotico di un pronto soccorso in un ospedale romano, mentre i familiari cercavano di stargli vicino e di proteggerlo come potevano.

  • Non ci sono motivazioni plausibili per tanto spregio del più elementare dei diritti del malato: la dignità. Ma conosco gli ospedali e so che non è questa la norma, che infermieri e medici si dedicano con abnegazione ad alleviare le sofferenze di degenti e familiari. Ma a quale prezzo? Fino a quando può bastare la professionalità degli operatori sanitari?

Secondo un recente rapporto del Tribunale dei diritti del malato e della Società italiana di medicina di emergenza-urgenza un terzo dei pazienti in pronto soccorso non ha visto tutelata la privacy e la gran parte delle strutture non ha spazi dedicati al malato terminale.

Negli ultimi anni la ristrutturazione e il piano ospedali hanno costantemente ridotto il numero dei posti letto (si va dai 3,7 per mille abitanti nel Nord-Ovest ai 2,9 degli ospedali del Sud), provvedimenti sacrosanti se orientati a migliorare l’efficienza e ridurre gli sprechi, sciagurati se restano solo dei tagli e nulla più.

  • Serve ben altro. Il 30% degli ospedali italiani è vecchio, piccolo, collocato in contesti isolati o difficili da raggiungere. Ci vuole il coraggio di rivoluzionare gli ospedali, che diventino davvero un «luogo per la gente», con spazi ampi per degenti e familiari, orari di visita illimitati laddove è possibile, orari di sveglia e pasti adatti alla nostra quotidianità e non a quella di un monaco medievale, dove se un allettato chiede dì abbassare la tapparella non si debba consultare l’intero reparto, dove si presta attenzione al dolore, alla privacy e alle necessità dei malati.

Un posto pensato per rinnovarsi in tempi brevi, per tenere il passo con l’avanzamento delle tecniche biomediche ma che resti anche al passo con l’evoluzione etica e culturale dei diritti del malato. Un posto aperto alla collaborazione con medici di famiglia, aziende sanitarie e servizi territoriali.

Siamo nell’era della medicina della persona e delle smart cities. Se non sapremo rinnovarci e liberarci delle vecchie strutture (edilizie, organizzative e culturali), avremo perso la sfida in partenza.

 

Fonte: tratto da Ok Salute e Benessere, novembre 2016

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